Tarquinio Vulpes

Chi era Tarquinio Vulpes?

Nato a Pescocostanzo il 7 maggio del 1766, figlio di Bernardo e Maria de Massis, Vulpes fu poeta e scrittore.
Personaggio di grande cultura; critico pungente, ed arguto.
Avviato da piccolo alla conoscenza delle lettere latine, tanto si appassionò a quei poeti che da giovane cominciò a scrivere versi latini.
Più tardi, a Sulmona, studiò filosofia e scienze sacre, materie in cui eccelse. In quegli anni lesse e si appassionò agli scritti di Ovidio da cui traeva ispirazione per la sua vena poetica. Fu sacerdote ed entrò a far parte dei Sacerdoti Capitolari, adempiendo con dignità ai doveri del suo ministero. La sua cultura e la sua eloquenza gli procurarono fama di valente oratore sacro.
Fu chiamato a Montecassino per insegnare lettere latine nel Seminario e qui si conquistò la benevolenza dei dotti monaci di quel tempo.
Il suo ingegno lo portò a Napoli, dove i grandi letterati della città ebbero modo di conoscerlo e apprezzarne il valore.
Con la pubblicazione dei suoi versi divenne personaggio molto noto, indicato col nome di poeta.

Liborio De Padova nelle sue “Memorie intorno all’origine e progresso di Pescocostanzo” scriveva:
“Nel fervore della sua fantasia, non contaminò giammai il castissimo santuario delle Muse: i suoi componimenti poetici non  avevano per iscopo che lodi di uomini illustri, e di azioni generose. Vero è che talvolta mostrò di aver intinta la sua penna nel fiele di Archiloco, ma egli non inveiva che contro il vizio, e sferzava la impostura, la impudenza, e la tracotante ignoranza…” .

Tradusse molte opere in versi italiani, tra le quali la Scuola Salernitana, l’Eroidi di Ovidio, e diverse tragedie di Racine, nonché il Poema di Silio Italico. La sua vecchiaia fu vegeta e rubizza e mantenne fresche e vive le forze del corpo e della mente. Rimase però colpito dal colera di Napoli dove morì il 4 Dicembre del 1836, compianto dai suoi numerosi amici e uomini di lettere.

Pescocostanzo lo ricorda dedicandogli una strada. La centralissima Via Vulpes, il tratto che collega Piazza Municipio a Largo avanti la chiesa. Sulla omonima strada, al n.15, l’antica casa dell’illustre poeta. Modificata nel 1850, parzialmente demolita durante l’ultimo conflitto mondiale e ricostruita negli anni 50, presenta ancora il portale barocco sulla facciata principale.


Un sonetto di T. Vulpes:
In occasione della fuga delle truppe napoletane presso Rieti ed Antrodoco nel 1821, Tarquinio Vulpes scrisse alcuni versi latini che andarono in mano al sacerdote D.Nicola Mosca, il quale tradusse i versi stessi in un sonetto.
Leggesi: ”La fuga delle truppe napoletane”. T(arquinio) V(ulpes): segue quindi il sonetto, al di sotto del quale leggesi: “Traduzione Mosca”.

Con baffe, col sicario e collo schioppo
marcia l’armata piena d’ardimento;
ognun d’essi dell’oste ne vuol cento
Ma il tamburo ripete:” è troppo è troppo”
All’Aquila si giunge senza intoppo
E mostra ognun marzial talento;
ma al grido: “ecco i Tedeschi”,
in un momento prendono l’ampio trotto ed il galoppo
A dieci, a venti, a trenta, a cento a mille
Tornan gli eroi: e loro parla forte
l’ombra onorata dell’invitto Achille:
Ciascun di voi non è mio figlio, è mulo
I figli miei non temono la morte.
Anzi nelle battaglie han pepe
al Culo.

(a cura di Luigi Sette)

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